Gli errori possibili nel digital fundraising (come nel fundraising tradizionale) sono un’infinità e di tutte le categorie, ma praticamente tutte le campagne fallite nascono da 3 problemi di fondo:

  1. La campagna non è stata diffusa a sufficienza
  2. La campagna è stata diffusa al pubblico sbagliato
  3. La campagna ha diffuso il messaggio sbagliato

Sul primo punto non penso ci siano motivi di discussione: non chiedere sostegno è un errore basilare. Il fundraiser lo sa bene. A volte però pensa di essere arrivato, sovrastima il successo della campagna già diffusa e aspetta il risultato. Meglio chiedere a 100 persone in più, anche in prossimità del risultato, che rischiare di mancarlo solo per essersi fermati un secondo.

Vi risparmio le spiegazioni sul perché è fondamentale capire il pubblico di riferimento. C’è già un articolo su questo blog e vi rimando a quello. La regola generale è: se siete della Lega per l’Abolizione della Caccia NON chiedete soldi andando al Circolo Regionale Cacciatori. Probabilmente vi prendereste solo una fucilata. Avete risorse limitate, quindi usatele per parlare ai donatori giusti!
Resta un terzo punto: di che cosa si parla quando si chiede una donazione? E soprattutto, di che cosa NON si parla? Vi propongo 4 errori tra i più comuni che fanno la differenza fra una grande storia coinvolgente e una marchetta su povertà e ambiente.

1. Calcare sullo stereotipo negativo

Lo metto per primo perché è un rischio molto forte: non si può parlare di sé ricattando il potenziale donatore con i problemi esistenti.
Come a dire: se non ci aiuti sei una brutta persona. Per carità! Uno non deve donare per questo (e non lo farà mai infatti)! Deve donare per partecipare a un’esperienza gioiosa.

Vi faccio qualche esempio di ciò che non può essere il centro del messaggio che volete mandare:

  • Africa: magrezza estrema, bambini con la pancia gonfia, pianto, malattia
  • Povertà: piedi sporchi, tristezza, abbandono, musica triste
  • Ambiente: alberi che cadono, fumo, industrie, allevamenti intensivi

Un bel (brutto) esempio è questa campagna di Save the Children Nederland:

Non serve nemmeno capire di cosa parla il video. Le sensazioni che passano sono chiare. Una nota ulteriore è che quando parlate a un potenziale donatore e mostrate un’immagine stereotipata, semplicemente non vi distinguete. Fate esattamente quello che fanno tutti: chiedere soldi per risolvere un problema.
E allora perché donare a voi piuttosto che ad altri?

2. Suscitare perplessità e dubbi

Questo è un errore comune, ma molto difficile da spiegare. A volte, visto un messaggio, restano più domande che risposte.
L’effetto involontario più comune è: ma il mio sostegno per cosa va a finire? Vi faccio subito un esempio con questo video che presenta una campagna di Feed A Child: 

Perplessità al minuto:
0:25 Di cosa si parla? Di Africa? Cosa c’entrano i bambini biondi e sdentati a inizio video? (so che è SudAfrica, ma mostrarli solo in parte del video fa un’impressione molto strana)
0:31 I bambini reggono cartelli evidentemente non scritti da loro. Il problema almeno è percepito da loro o solo dall’organizzazione?
0:55 Perché c’è disentusiasmo totale fra i bambini? Non saranno mica stati messi là a forza? … ve ne risparmio un po’ per arrivare alla migliore.
2:03 La bambina a cui sta dando da mangiare sembra perfettamente in grado di mangiare da sola. Allora perché diavolo non si arrangia?

Visto questo video, la percezione generale è: ma se hanno dovuto montare tutto questo costrutto per parlare di loro, hanno qualcosa di vero da dire? Fanno veramente qualcosa? (E poi, questo Jack Stone, che ha un sacco di primi piani dedicati e il carisma prorompente di un cespo di insalata, ma chi cavolo è?)

3. Far prevalere il progetto sui risultati

Quando chiedete del denaro è perfettamente naturale giustificarlo con un progetto. È un ottimo sistema per far capire che avete un piano preciso e come verranno utilizzati i soldi. Ma il progetto non è la finalità del fundraising. Il progetto è solo il mezzo con cui l’Organizzazione Non Profit porta l’aiuto del donatore al beneficiario. Quindi è meglio focalizzarsi sul risultato.
A riprova di ciò c’è il fatto che si può parlare dei risultati senza parlare dei progetti che li realizzano.

PCI Global

PCI Global mostra, in questa piccola infografica, come una donazione influisce direttamente sul beneficiario: 10 dollari al mese consentono a PCI di garantire un pasto giornaliero a un bambino in Tanzania.
Come? Con una mensa? Dando il cibo a qualcuno in particolare? In realtà al donatore non cambia molto, l’importante è solo che il bambino sia al sicuro.
Se avessero fatto il contrario, cioè dire “con 10 dollari al mese, PCI paga una mensa” il messaggio finale comportava un ragionamento in più per il donatore, cioè: una mensa per far che? Un donatore esitante o un indeciso avrebbe potuto pensare che PCI non usi i soldi in modo impattante!

4. Farsi passare per dei messia

C’è un certo modo di trasmettere di alcuni messaggi, soprattutto umanitari, che, pur passando messaggi positivi, lascia intendere che tutto è dovuto al lavoro delle organizzazioni. Si chiama White Saviour Complex e fa sembrare che l’Africa (o l’Asia o quel che è) non abbia possibilità al di fuori di quanto creano o abilitano le ONG.
Prima di tutto non è vero! Il lavoro delle ONG incide quando c’è collaborazione con la popolazione, non quando i beneficiari vivono di “rendita umanitaria”.
Secondo, dà un’immagine ben poco attraente. Perché lascia il dubbio nel donatore di stare sostenendo dei “bambini viziati” che non hanno intenzione di fare niente per sostenersi da soli. Il che è falso.

Guardate invece che bella immagine danno i maestri della comunicazione di charity: water: la tanica gialla della Non Profit c’è sempre, ma chi la porta è sempre nero. Questa immagine è molto più bella. Le persone hanno un bisogno e stanno già lottando, tu aiutali a lottare! Gli darai semplicemente uno strumento essenziale in più…

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